giovedì 20 novembre 2008

Nuova economia di montagna


da L'Adige, 20 novembre 2008

Le ventilate ipotesi dell'acquisto, da parte della provincia, degli impianti di risalita hanno suscitato un dibattito molto partecipato al quale hanno contribuito economisti ed industriali, conoscitori della montagna e qualche ambientalista. Ci si è soffermati sulla questione "etica", valutando la correttezza di un esborso di soldi da parte dell'Ente pubblico ad un settore – quello dello sci – che da molti anni è già lautamente finanziato; si è discussa la modalità dell'acquisto, se attraverso public company o secondo una valutazione caso per caso; c'è stato chi ha letto nell'intenzione di acquisto una tattica anti-congiunturale, una mossa per arginare una crisi finanziaria che non sappiamo come e quanto si tradurrà nell'economia reale dei nostri territori.

Ma nessuno è riuscito a delineare un ragionamento complessivo che sia capace di tracciare delle linee di prospettiva, che si interroghi sul futuro del sistema turistico invernale, che parli del futuro delle montagne alla luce di questa crisi ma soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici che coinvolgono l'intero pianeta. Per essere più chiari: un intervento pubblico così strutturato, si pone il problema della riconversione industriale del turismo invernale trentino o continuerà nella politica cocciuta e fallimentare dell'innevamento forzato delle piste sciabili ad altitudini dove ormai crescono le palme? Crediamo che qui stia il punto, non tanto nel metodo di "salvataggio" di aziende che hanno sempre e solo pensato al profitto, ma nella capacità di intervento pianificato per disegnare un nuovo modello di gestione del turismo di montagna.

La superficialità con cui si è affrontato il tema dell'acquisto degli impianti di risalita è, infatti, la cartina di tornasole che definisce la cifra dell'inconsistenza delle politiche trentine sul sistema alpino. E' anche la prova che né la lobby degli impiantisti, ma nemmeno l'amministrazione provinciale di questi ultimi decenni, si pongono il problema di gestire una trasformazione strutturale dell'economia di montagna, chiudendo gradualmente tutte le stazioni sciistiche sotto i 1800 metri di altitudine e finanziando contestualmente un nuovo modello che valorizzi il territorio secondo le sue specificità locali e spalmi l'offerta turistica nell'arco dell'anno e non soltanto nei pochi mesi sciabili.

Sarebbe grave che con la scusa del "salvataggio" delle aziende in crisi si perpetuasse la politica scellerata di finanziamento a nuovi impianti, a nuovi innevamenti artificiali, a ulteriore impiego di risorse idriche ed energetiche per sfamare la voracità dei cannoni da neve e si lasciasse a margine l'occasione per ripensare ad un nuovo turismo, ad una nuova economia di montagna.

Le associazioni ambientaliste, ma anche e soprattutto i comitati che costellano ogni valle del Trentino, devono riuscire nell'intento di pretendere che ogni azione che riguarda gli impianti di risalita sia inserita nel dibattito sul futuro della montagna, cercando gli spazi politici e partecipativi per determinare le scelte e per contribuire nella definizione di un nuovo sistema Alpino.

Le linee su cui ci muoviamo sono semplici ma chiare, tengono conto del domani e non intendono schiacciarsi sulle soluzioni tampone che crediamo inutili e dannose: per un progetto di riconversione dell'offerta turistica invernale del Trentino – che abbandoni la monocultura dello sci alpino – è necessario non dimenticare che entro poco tempo le stazioni invernali di media e bassa quota non avranno quasi più innevamento naturale, e non è più possibile sostituire l'innevamento naturale con grandi investimenti per la neve artificiale; per avviare un serio e graduale passaggio, gestito politicamente e in modo condiviso, è impensabile qualsiasi intervento di potenziamento e ampliamento nei comprensori sciistici. Detto questo, cosa ormai suffragata da studi e ricerche internazionali sia in campo climatologico che economico, intendiamo contrastare le proposte della Provincia – e le "aperture" di Dellai ai desideri degli impiantisti – se esse saranno (come oggi appaiono) una conferma della situazione esistente e cioè spreco di risorse pubbliche e un altro regalo alla lobby degli impiantisti.

Francesca Manzini - Officina Ambiente

sabato 15 novembre 2008

La montagna che vogliamo!

Vogliamo decidere noi del futuro delle nostre montagne.
Giovedì 20 novembre ore 17.00 - Tutti in Piazza Dante, sotto il Palazzo della Provincia

Da settimane ormai si discute del futuro del modello turistico invernale trentino. Se ne discuteva prima della scadenza elettorale del 9 novembre, quando da più parti giungevano i segnali di una crisi ormai evidente che colpisce il mondo dello sci. Se ne discute oggi, a pochi giorni dalla rielezione di Lorenzo Dellai, con la proposta - comparsa sulle pagine dei quotidiani locali - dell'acquisto da parte della Provincia degli impianti di risalita delle società in crisi. Come dice bene Pierangelo Giovannetti nel suo editoriale si sperimenta il vecchio metodo, sperimentato con Alitalia, che consiste nel pubblicizzare le perdite e privatizzare i profitti.
Non possiamo accettare una tale semplificazione rispetto ad un argomento che non coinvolge semplicemente i bilanci delle società degli impiantisti, ma soprattutto il futuro delle nostre montagne, delle nostre valli, del nostro territorio.
Crediamo che decisioni di questo tipo non si possano prendere semplicemente da un punto di vista finanziario, senza tenere in considerazione la prospettiva di un modello futuro di sviluppo diverso da quello che prevede la "monocultura dello sci" come unica risorsa per il Trentino.
Alla proposta d'acquisto della Provincia dobbiamo opporre la forza di un nuovo progetto, che pone al centro la difesa di un territorio già troppe volte martoriato da investimenti scellerati per la costruzione di nuovi impianti, un progetto che immagina uno sviluppo turistico condiviso con la popolazione e non imposto dalla crisi economica.

Autoconvochiamoci giovedì 20 novembre alle ore 17 sotto il Palazzo della Provincia Autonoma di Trento per cominciare ad immaginare un nuovo modello di sviluppo turistico per il Trentino.

Dellai, partenza con il piede sbagliato

La nuova giunta provinciale non è stata ancora fatta, e già sul tavolo di Lorenzo Dellai vi è il primo progetto: provincializzare gli impianti di risalita del Trentino. Non bastano i 50 milioni di finanziamenti pubblici già decisi dalla Provincia per sostenere nei prossimi due anni funivie anche dove la mancanza di neve e di sciatori non lo consentono. Adesso si va oltre: se le società che gestiscono gli impianti hanno i conti in rosso, non solo ci deve pensare il contribuente a sanare a pie' di lista il deficit che ogni anno creano. Di più: i contribuenti adesso sono chiamati anche a finanziare l'acquisto degli impianti, la loro manutenzione, il loro continuo rinnovamento.
Così che le società private possano dedicarsi «solo» alla gestione (a questo punto in attivo) e alla riscossione degli utili. Insomma, la vecchia filosofia tornata di recente in auge con Alitalia: pubblicizzare le perdite, privatizzare i guadagni. Appena sarà legge il piano (che gli uffici provinciali assicurano in avanzata elaborazione, pronto per essere approvato dalla nuova giunta dopo l'insediamento), avremo gli ski lift di Stato. Come nei Paesi del socialismo reale. Con la differenza che lì la decenza (e i soldi) si fermavano ai tram e ai treni di Stato. Qui da noi, invece, terra di socialismo reale un po' più godereccio, le tasse pagate dai cittadini non dovranno servire per finanziare asili nido e case di riposo, ma luccicanti impianti di risalita per l'industria (?) delle società funiviarie.
Ora questo mostruoso progetto annulla in un colpo solo la libertà di mercato, la concorrenza, l'oculatezza della gestione dei bilanci (a che serve, se tanto paga la Provincia?) e, soprattutto, la valutazione oggettiva se vale la pena gettare risorse in un settore che nei prossimi anni sarà obbligatoriamente ridimensionato per la mancanza di neve sotto una certa quota. mutamenti climatici in atto da tempo, come confermano tutti gli studi di settore, vedranno l'aumento di due gradi della temperatura entro i prossimi decenni. Questo ridurrà le aree sciistiche in quota, limitandole al di sopra di 1.800-2.000 metri. Stime del Centro Euro Mediterraneo prevedono che entro una generazione solo il 18% delle stazioni invernali di risalita presenti nel versante italiano delle Alpi potrà essere considerato affidabile, cioé in grado di garantire almeno 30 centimetri di neve per cento giorni l'anno. Ciò vuol dire, tra le varie cose, che i soldi pubblici che si destineranno agli ski lift di Stato, saranno tutti soldi buttati dalla finestra. Non un investimento per il futuro, ma un scialacquare per l'oggi, con la certezza che non avranno alcun valore per il domani. Invece di pensare ad impostare un nuovo modello turistico per il Trentino e per le Alpi italiane, che valorizzi la montagna per l'ambiente e la bellezza che offre, e che non si appiattisca sulla monocultura dello sci, si arriva addirittura a scaricare tutti i costi di questa follia irresponsabile sul contribuente trentino.
Ma se gli impiantisti credono in questo modello, perché non lo pagano loro? Perché deve essere la Provincia a pagarlo? Tra il resto, il «salvataggio pubblico» delle società impiantiste più in difficoltà è una palese violazione della concorrenza, che danneggia le società sane del settore, che vengono così messe fuori mercato. Lo affermano chiaramente gli operatori del settore più seri (vedi cronache all'interno del giornale). Perché, se la Provincia acquista gli impianti della società con i bilanci in rosso, che senso ha diventar matti a far quadrare i conti e a mettere in piedi economie di scala, e a introdurre innovazioni di mercato? Qui si premia chi fa debiti e perdite, non chi ha i bilanci in regola. Può reggere un mercato sano tutto questo? Nemmeno la giustificazione che si tratta di «mezzi pubblici» sta in piedi. Infatti, un conto è garantire l'autobus che arrivi in ogni paese, e un altro alimentare artificialmente stazioni in bassa quota che da nessuna altra parte al mondo avrebbe senso mantenere. Le ovovie non sono un servizio pubblico da finanziare con le tasse dei cittadini. Al limite, lo possono essere con l'autofinanziamento degli operatori turistici che traggono vantaggio diretto dalla presenza degli sciatori. Forse è giunto il momento di porre un freno deciso alla collettivizzazione forzata in atto da tempo in questa terra. Perché a questo punto ne va della sopravvivenza del Trentino stesso, già economia assistita, che rischia di diventare una provincia priva di economia, perché tutta collettivizzata. L'acquisto per 50 milioni dei capannoni della Whirlpool ne sono purtroppo uno degli infiniti esempi.

Pierangelo Giovanetti, direttore de L'adige

p.giovanetti@ladige.it

Impianti alla Provincia: Dellai favorevole


dal Corriere del Trentino

Se la priorità del prossimo esecutivo sarà l’economia, potrebbero esserci buone notizie in arrivo per gli impiantisti trentini: il «nuovo» governatore non esclude, infatti, l’ipotesi dell’acquisto da parte di Piazza Dante degli impianti di risalita provinciali. «È un tema all’ordine del giorno su tutto l’arco alpino—osserva Lorenzo Dellai —. Sarà uno dei punti su cui dovrà lavorare la nuova giunta».
Le difficoltà Le parole di Dellai si calano in un dibattito aperto già da tempo, ma «congelato» dall’appuntamento elettorale. Circa un mese fa, Alberto Pedrotti aveva fatto capire di auspicare una simile soluzione. Si erano poi detti favorevoli la Filt Cgil e l’assessore uscente all’industria, Marco Benedetti. Giovedì Andrea Bertoli, presidente di Trento Funivie, ha lanciato un vero e proprio appello a Piazza Dante, affinché la provincia acquisti gli impianti a fune. In primis quelli del Bondone, che versano in una situazione non facile. Ma il Bondone non è solo. Secondo Pedrotti sulle 62 società che operano nel settore in provincia di Trento, 55 sono in difficoltà».
L’ipotesi Dellai non pare sordo al grido d’allarme lanciato dagli impiantisti. «L’acquisto da parte dell’ente pubblico è un’ipotesi su cui lavorare, anche se devo precisare che non disponiamo ancora di alcun dossier in materia. Certo l’operazione è già stata condotta in porto in altri stati europei e in qualche località italiana». Il governatore dunque apre alla possibilità di un acquisto in blocco da parte di Piazza Dante degli impianti a fune della provincia. Si tratterà di una partita difficile, che si presterà all’accusa di far ricadere sulla comunità i costi di investimenti sbagliati da un punto di vista imprenditoriale, secondo il principio della collettivizzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti. Non sfugge a nessuno, infatti, che gli imprenditori del settore abbiano ricevuto in passato significativi aiuti in fase di costruzione degli impianti. Insomma, si potrebbe forzare l’interpretazione e dire che la Provincia si ricompra gli impianti che ha costruito di tasca propria. Dellai, però, oppone già ora un’altra interpretazione. «Bisogna capire se vogliamo intendere gli impianti come infrastrutture simili alle strade, che di per sè non fanno profitto, ma permettono lo sviluppo dell’economia. Io credo che il turismo sciistico vada difeso, visto che garantisce il 40% delle entrate turistiche di questa provincia». Il ragionamento del governatore è semplice: senza impianti niente sci, senza sci niente turismo, senza turismo niente soldi.
I gestori Di fronte a una crisi che coinvolgere non solo i piccoli impianti, ma anche quelli di medie dimensioni, Alberto Pedrotti giudica positivamente la proposta di Dellai. In attesa di un confronto a quattr’occhi con il presidente, Pedrotti parla d’«idea importante», «probabilmente l’unica soluzione possibile». Il rappresentante degli impiantisti di Confindustria spiega il perché: «Se la proprietà degli impianti sciistici dovesse diventare pubblica, alla stregua di piscine e palestre, sui privati non graverebbero più ammortamenti e manutenzione straordinaria». Una boccata d’ossigeno, insomma, che arriverebbe in un momento in cui le microstazioni si trovano in grosse difficoltà a causa dei costi di gestione e della competizione con località turistiche come Madonna di Campiglio o Folgarida. «Ormai — precisa Pedrotti — le piste vanno battute ogni sera; bisogna garantire la neve durante tutta la stagione e quindi innevare tanto e in fretta. Tutto ciò richiede mezzi costosi e molto consumo di elettricità». A fronte di questo, poi, «dal 2002 al 2007 c’è stata una netta contrazione dei finanziamenti provinciali: siamo passati dal 30 35% al 15% per le piccole e al 7% per le medie e le grandi». Questo, l’obbligo imposto dall’Unione europea per il rispetto del libero mercato.
Il sindacato Netta contrarietà da parte della Uil «all’acquisto degli impianti sul Bondone o altrove. A questo punto — scrive il segretario Ermanno Monari—forse vale la pena di pensare alla promozione di un Trentino senza impianti di risalita, richiamando i veri naturisti. Sicuramente impegneremo meno quattrini pubblici e faremo meno ricchi i soliti noti».

Impianti: bilanci in rosso il 90%

Su 62 pochissimi in utile secondo l'Anef. Ipotesi salvataggio pubblico Su 62 società funiviarie in provincia, solo alcune, il 10% circa, sarebbero in utile mentre tutte le altre farebbero segnare rossi nell'ultimo bilancio. A dirlo, in un'intervista rilasciata al Sole 24 Ore Nordest qualche giorno fa, Alberto Pedrotti presidente dell'Anef, l'associazione nazionale delle imprese del settore funiviario. Ma per il comparto arriveranno nuovi aiuti da parte del settore pubblico. Trentino Sviluppo ha messo in cantiere un nuovo ingente intervento che dovrebbe consentire un rilancio e un rinnovamento delle infrastrutture funiviarie al servizio dei comprensori sciistici della provincia. Secondo una prima stima la cifra a disposizione, che potrebbe anche aumentare nei prossimi anni, sarebbe pari a 30 milioni di euro entro il 2010. Successivamente, da più parti era arrivata la proposta di chiedere alla Provincia di applicare il cosiddetto modello valle d'Aosta con la possibilità di un intervento diretto di Piazza Dante nelle infrastrutture funiviarie. Una scelta che si era fatta strada proprio a partire dai problemi, ancora irrisolti, che riguardano le Funivie Folgarida, società a monte della Trento Funivie, e che erano esplosi con i problemi della controllata Aeroterminal Venezia. Prima che le Casse Rurali realizzassero un prestito ponte di alcuni milioni di euro in grado di dare alle Funivie Folgarida la liquidità necessaria per saldare alcuni urgenti capitoli di debito e il tempo per far ripartire gli impianti, ecco che in Provincia si era pensato anche alla possibilità di acquistare i piloni delle funivie in cambio di risorse. La questione da verificare con attenzione è se tale intervento possa infrangere le norme europee sugli aiuti di Stato e in che modo dare corpo alla scelta di acquistare un bene che, a differenza del capannone o del terreno industriale, ha un valore costantemente in calo durante la sua vita.

L'Adige 14/11/2008

venerdì 14 novembre 2008

Il Bondone come l'Alitalia

Solo l'intervento della Provincia, con soldi pubblici freschi, può garantire la nuova fase di rilancio del Bondone, che prevede investimenti per 9 milioni di euro. Parola di Andrea Bertoli presidente di Trento Funivie, ascoltato ieri dalla commissione ambiente del Comune di Trento. Bertoli ha caldeggiato l'acquisto, da parte della Provincia, degli impianti di risalita: l'ente pubblico dovrebbe così provvedere agli investimenti e ai costi di manutenzione, mentre alle Funivie spetterebbe la gestione. Perché con i ricavi da skipass, ha spiegato Bertoli, si possono coprire solo i costi di gestione, non gli ammortamenti e il rientro dei debiti.
Una sorta di modello Alitalia per il Bondone. Nella grande partita che si sta per aprire sul futuro degli impianti sciistici in Trentino, Andrea Bertoli, presidente di Trento Funivie, tifa Provincia. E ieri sera, in commissione ambiente a palazzo Thun, lo stesso Bertoli ha ribadito che solo il denaro fresco della Pat potrà sbloccare la terza e ultima tranche di investimenti - per circa 9 milioni di euro - indispensabili alla riqualificazione degli impianti di risalita e quindi al rilancio turistico del Bondone. Ma come si attuerà il nuovo intervento provinciale auspicato dagli impiantisti? «E' stata avanzata l'ipotesi di una "pubblicizzazione" delle funivie trentine» ha ricordato Bertoli alla commissione riunita per un aggiornamento sul piano di rilancio del Bondone. «In questo momento non ci sono altre proposte in campo. Ma ora attendiamo il varo della nuova giunta per capire l'orientamento della Provincia». Parole esplicite quelle di Bertoli che con il padre Ernesto è titolare dell'«impero» Folgarida-Marilleva.
Parole che pesano, sebbene oggi la società solandra non navighi in buone acque dopo il disastroso investimento immobiliare nella zona aeroportuale di Venezia. Quella degli impianti a fune sarà allora una delle prime patate bollenti che il rieletto presidente Dellai si troverà tra le mani. Un nodo difficile da sciogliere, ma che in Val d'Aosta e Friuli è stato scaricato sull'ente pubblico. «Nelle due regioni autonome - ha ricordato Bertoli - i governi locali hanno acquisito la proprietà degli impianti tramite due società pubbliche, Finaosta e Promotur, e ora li gestiscono accollandosi le spese di investimento e manutenzione». Sono proprio questi costi a preoccupare gli imprenditori trentini della neve. «Oggi - ha continuato riferendosi al caso Trento Funivie - facciamo fatica a rientrare delle spese di investimento, sempre più alte per il loro costante riammodernamento. Con i ricavi degli skipass facciamo fronte ai costi di gestione, ma non agli ammortamenti e al rientro dei debiti». La questione interesserebbe molti operatori tanto che nelle settimane scorse il presidente di Trentino Sviluppo Paolo Mazzalai, prima, e l'ex assessore all'industria Marco Benedetti, poi, avevano lanciato l'ipotesi di una «scatola» pubblica dove metter gli impianti per farli poi gestire a società private. «Noi - ha confermato Bertoli - abbiamo la professionalità e l'esperienza per la gestione».
In un sol colpo si potrebbero superare i rigidi vincoli europei al finanziamento pubblico delle imprese, che oggi impediscono l'assegnazione di contributi superiori al 12,5% degli investimenti. Quello del sostegno pubblico è un tema caldo anche per il Bondone. Dopo l'assegno di tre milioni di euro staccato in agosto da Trentino Sviluppo e Comune per coprire parte dei debiti di Trento Funivie, l'ultimo protocollo d'intesa tra proprietà pubblica, il Comune di Trento, e quella privata, Funivie Folgarida Marilleva, prevedeva uno stanziamento di altri tre milioni a fronte dell'avvio dei lavori per la realizzazione dell'impianto Vanezze-Montesel, ultima tranche di investimenti per il rilancio del Bondone. Ma nell'intricato gioco dei vincoli reciproci, Trento Funivie aveva chiesto più contributi provinciali (fino al 30%) garantiti dal passaggio allo status di stazione sciistica locale.
Peccato che le norme europee escludano il Bondone in virtù di una percentuale di skipass plurigiornalieri superiore al 15% del totale. Ecco che allora anche il futuro del turismo in Bondone - una stazione di «slow ski» dalle buone potenzialità come ha detto ieri Bertoli - dipendono da una partita più grande che si giocherà nei prossimi mesi tra le piste da sci e piazza Dante.

L'Adige 14/11/2008